Per capire davvero cosa sia la Scuola in Ospedale, bisogna affidarsi a chi questa realtà la abiti ogni giorno con discrezione e cura.
Ripalta Picchiarelli, insegnante della scuola dell’infanzia in ospedale e coordinatrice della “Vittorino Da Feltre”, è qui da ventun anni. “Sono i bambini e i ragazzi – racconta – ad accoglierci nelle loro stanze. La scuola entra dove il bambino si trova, perché il diritto allo studio non si sospende con la malattia. Anzi, proprio in quei momenti diventa essenziale. Serve a mantenere un contatto con la vita precedente, con i compagni, con la propria identità”.
La Scuola in Ospedale esiste dal lontano 1967, ed è un arcipelago che unisce infanzia e adolescenza, dalle prime lettere alle equazioni. Le lezioni si svolgono nelle camere dei reparti, di Pediatria d’Urgenza a Oncoematologia, da Cardiochirurgia a Neuropsichiatria. L’organizzazione è complessa: programmi cuciti su misura, orari flessibili, insegnamenti individualizzati. Ripalta, da 21 anni, attraversa questi corridoi con il passo leggero di chi porta dentro una carezza. Non solo libri e materiali: porta ascolto. “Si comincia da lì: capire, attraverso le parole dei genitori, chi è quel bambino. Che musica ascolta, che fiaba ama, se tifa per la Juve o per il Napoli. Serve un filo da cui cominciare a tessere”. Ogni lezione è un abito unico, cucito addosso al piccolo paziente, seguendo il ritmo delle cure. E della stanchezza. “Il nostro compito – racconta – è tenere vivo quel filo che unisce il prima al dopo. Costruire ponti con le scuole di provenienza e garantire continuità. Perché la malattia non spezzi la traiettoria del crescere”. E quando le terapie finiscono? “Siamo ancora lì. Li accompagniamo nel ritorno”. A volte mediazioni, a volte scudi. “Perché talvolta può essere necessario spiegare agli insegnanti, agli amici, come affrontare il dolore”.
Nessuna giornata, nessuna lezione è uguale all’altra. “Se ieri ho promesso che costruiremo un castello di carta e oggi il bambino è troppo stanco, cambio attività. O resto semplicemente lì. Anche il silenzio può essere una forma educativa, se lo si sa ascoltare”. Soprattutto in ospedale, dove il tempo si dilata, e persino la noia può insegnare qualcosa. La formazione degli insegnanti ospedalieri non si ferma mai, grazie ai corsi della scuola Polo del Piemonte (del polo torinese) che li tiene uniti come un faro. “È un lavoro che ti chiede tanto: flessibilità, pazienza, presenza. Ma ti restituisce altrettanto. Perché ciò che facciamo qui è molto più che insegnare. È esserci. È affidarsi. È cura. E ogni giorno, anche noi, impariamo qualcosa che fuori non si impara”.