INTERVISTA A EMMA SARLO POSTIGLIONE
Quando nel 2006, la nostra associazione ha inaugurato la propria casa di accoglienza “Casa UGI”, presso la ex stazione della monorotaia di Italia ’61, non avrebbe mai immaginato che per gli anni a venire sarebbe stata identificata essa stessa con la casa.
Ciò è accaduto perché UGI ODV si è distinta e si distingue ancora, rispetto a molte altre associazioni che offrono un servizio similare, per il proprio peculiare modello di accoglienza: l’UGI non si limita a fornire una casa, ma garantisce ai suoi piccoli malati e famigliari una struttura recettiva dove vivere in sinergia con l’Ospedale, durante il periodo delle cure.
Cosa significa? Significa che per accedere alla casa ci vuole l’indicazione di un comitato ospedaliero costituito da rappresentanti dell’ospedale Regina Margherita e dell’UGI (e l’uscita è indicata dall’ospedale); la casa, non è “una qualsiasi abitazione”, ma è una struttura divisa i 21 alloggi indipendenti, con aree comuni attrezzate per le attività dei pazienti, che garantisce i più alti standard igienico sanitari, per offrire un ambiente sicuro. Si accede gratuitamente e nulla è chiesto alle famiglie ospitate né per l’abitazione, né per i servizi ricompresi nell’ospitalità. L’ospite di Casa UGI usufruisce, infatti, di tutta una serie di servizi annessi alla casa, per i bambini, gli adolescenti e i care giver, servizio trasporti incluso. Se si pensa che, solo nei primi 10 anni di vita di Casa UGI, la struttura ha accolto 457 nuclei famigliari e che recentemente abbiamo acquistato una nuova sede per far fronte alla domanda di alloggio delle nostre famiglie, è evidente, da una parte, la grande necessità di questo servizio e, dall’altra, l’esigenza che l’accoglienza, per famiglie in condizioni delicate come la nostra, abbia le caratteristiche che noi offriamo. Ricordiamo infatti che le famiglie inviatoci dal comitato non sono solo famiglie bisognose, ma tutte le famiglie che risiedono fuori Torino e devono ricorrere alle cure ospedaliere con una fitta e serrata frequenza: il viaggio giornaliero costituirebbe un danno sia fisico che un aggravio della sofferenza delle cure per il malato e per i genitori.
Abbiamo già parlato del turismo sanitario che, vista la assenza di una rete territoriale radicata per curare i tumori pediatrici a livello nazionale, porta le famiglie che ricevono una diagnosi di cancro per i propri figli a spostarsi talvolta in regioni diverse dalla propria. La nostra associazione apre le sue porte anche ai pazienti stranieri, da ultimo ad alcuni piccoli pazienti Ucraini che, a causa della guerra non potevano proseguire il protocollo nel loro paese. Negli anni abbiamo infatti accolto ragazzi provenienti dalla Tunisia, dal Marocco, dal Venezuela e dal Perù, solo per citarne alcuni.
Abbiamo chiesto a Emma Sarlo Postiglione, membro del Consiglio Direttivo di UGI ODV, Segretario Generale e socia da oltre 30 anni, il perché si sia scelto di strutturare bilocali e non camere similari a quelle che ospitano i pazienti in ospedale. La risposta risiede proprio nel nostro tipo di Associazione: da genitori sapevamo che chi assiste il figlio malato aveva bisogno di avere, all’interno di quello che è il lungo periodo di cura (mediamente un protocollo dura 15-18 mesi) dei momenti che permettessero ai genitori di sentirsi non solo caregiver, ma genitori con uno spazio proprio ed esclusivo, dove mangiare, stare insieme “in normalità”. Cucinare un pasto, riordinare la propria casa, guardare un film come facevano prima dell’inizio delle cure. L’appartamento ricostituisce quindi quello che è lo spazio privato della famiglia, ma fuori della porta, i genitori hanno, grazie ai volontari, la possibilità di essere coadiuvati per ogni necessità sia loro che dei loro figli; figli ricordiamo che hanno la necessità sia di essere assistiti, sia di conservare per quanto possibile la loro natura di bambini e ragazzi.