Il confine tra fantasia e realtà diventa ogni giorno più sottile, labile. Con la tecnologia che ormai supera di gran lunga l’immaginazione di scrittori come Asimov e Philip Dick, trasformando visioni fantascientifiche in quotidianità. Dai robot agli organi artificiali, dai super smartphone all’IA, l’innovazione è entrata così profondamente nelle nostre vite al punto da rendere assai difficile immaginarle senza. E non c’è dubbio che questo scatto verso il futuro abbia portato benefici straordinari nell’industria, nella comunicazione, nella medicina. Ma lo scatto avvenuto negli ultimi anni è stato fulmineo, rapidissimo. E la velocità con cui i miracoli prodigiosi della tecnica si propagano in ogni campo porta a chiedersi se a tale slancio corrisponda una capacità di gestirne tutti gli effetti.
L’Intelligenza Artificiale, allora, diventa il principale terreno di confronto (e talvolta di scontro) tra chi ne esalta le potenzialità e chi, invece, teme che ne possano derivare risvolti atroci. Con qualcuno che arriva addirittura a prevedere la fine dell’umanità, con una vittoria finale delle macchine. Come al solito, probabilmente, la verità sta nel mezzo. E il vero pericolo non è rappresentato da un fantomatico golpe degli “esseri” robotizzati, quanto piuttosto dalla mancata consapevolezza che l’unico, vero e insuperabile limite agli sviluppi negativi della tecnologia siamo noi. Con i nostri gesti, i nostri sentimenti, le nostre sensibilità che mai una macchina sarà in grado di replicare. E il pericolo non è rappresentato dall’intelligenza artificiale, ma dalla stupidità umana e dall’infatuazione sconsiderata per tutto ciò che è virtuale. Impiegando il tempo che la tecnologia dovrebbe aver liberato dal lavoro con il naso attaccato ai telefonini, intontiti da lunghe navigazioni tra i mondi irreali dei siti e dei social molto spesso inutili e talvolta dannose. Con il tempo liberato che diventa tempo perduto, utile solo a far crescere vecchie pigrizie e nuove brutte abitudini. Non è la facilità con cui otteniamo risultati che definisce il nostro valore, ma la fatica, il dubbio, la tensione verso qualcosa di più alto. In questo senso, il vero progresso non risiede nella tecnologia, ma nella capacità di usarla senza lasciarsene soggiogare, mantenendo saldo il legame con la nostra umanità. Solo così possiamo sperare di evitare che la tecnica, da strumento di emancipazione, si trasformi in una nuova forma di schiavitù.
Un ritorno alla misura, alla lentezza, alla profondità del pensiero è ciò di cui abbiamo bisogno per non perdere il contatto con noi stessi e con il mondo che ci circonda. Ecco, un primo argine agli effetti indesiderati di un mondo virtuale in cui talvolta ci sentiamo un po’ sperduti è proprio questo: ragionare su come impieghiamo il nostro tempo. Cercando di ritagliarne un po’ per fare qualcosa che sia buono per noi e per gli altri. Come ci insegnano ogni giorno i nostri volontari. Che sono persone speciali, dal cuore grande. Che ogni giorno mettono in atto tanti semplici, ma fondamentali gesti che non potranno mai essere imitati da un robot.