UGI - Il Giornale dell'UGI - L’EDITORIALE DI STEFANO TAMAGNONE

L’EDITORIALE DI STEFANO TAMAGNONE

In un mondo come quello di oggi, lacerato da guerre, crisi umanitarie e profonde divisioni sociali, è il caso di fermarsi un attimo e riflettere su una parola che abbiamo messo da parte, quasi dimenticata: accoglienza. Un termine abusato, svuotato di significato da chi lo usa solo per riempirsi la bocca, ma che resta lì, in attesa che qualcuno ne colga l’essenza vera. Accogliere non significa soltanto aprire una porta, offrire un letto o un pasto caldo. L’accoglienza è qualcosa di più. È uno stato d’animo, un modo di stare al mondo. Significa tendere una mano a chi è in difficoltà, senza calcoli e senza secondi fini. E questo vale soprattutto in tempi in cui siamo circondati da muri, fisici e mentali. Tempi in cui ci troviamo a scappare dall’altro, come se fosse lui il problema, e non la nostra incapacità di comprendere e condividere. Ma c’è chi, in silenzio, fa il proprio dovere, senza grandi proclami. L’esempio che ci arriva dall’UGI è emblematico. L’Unione Genitori Italiani contro il tumore dei bambini Odv ha scelto di stare accanto alle famiglie nel momento più tragico della loro vita: quando un bambino si ammala di tumore. E badate bene: qui non si tratta di semplice ospitalità, di dare un letto, un pasto caldo e una coperta. No, l’UGI fa molto di più. Offrire un tetto, di per sé, è già un gesto nobile. Ma come spiega Marinella Goitre nell’articolo all’interno del giornale si tratta di “partecipare alla cura”, e cioè abbracciare queste famiglie spezzate dalla malattia e sostenerle a tutto tondo. Siamo di fronte a un’accoglienza che è ben più che un rifugio fisico. È un aiuto globale che entra nel merito della malattia, si allarga a chi sta attorno al paziente, e si declina in ogni piccola attenzione: dall’accompagnare il bambino all’ospedale, fino a permettere ai genitori di ritrovare un minimo di normalità nella tragedia. Casa UGI, dove si svolge tutto questo, non è solo un luogo dove dormire. È un vero cuore pulsante, un centro vitale che non si ferma mai, aperto 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. Qui i volontari e i dipendenti non aspettano che suoni il campanello: sono loro ad andare incontro alle famiglie, a offrire un aiuto concreto e quotidiano. E non dimentichiamo che questa accoglienza, garantita in stretta collaborazione con l’Ospedale Regina Margherita, non riguarda solo il bambino malato. L’intera famiglia, nonni compresi, quando un bambino o un adolescente si ammala, viene coinvolta in una spirale di dolore e incertezza. Per questo l’UGI offre anche spazi di ricreazione, laboratori educativi per i bambini e attività dedicate ai genitori, come yoga o arteterapia. Sono piccole cose, dirà qualcuno, ma provate a immaginare il sollievo che un’ora di tranquillità può dare a una madre o a un padre che sta affrontando un calvario. È un accudimento che non si ferma, che non conosce pause. Che, da una parte, mira a ottenere risultati tangibili per lo sviluppo psicosociale di bambini e adolescenti che vivono in situazioni di isolamento dal gruppo dei pari. E dall’altra sostiene le famiglie alle prese con le conseguenze economiche portate dalla malattia, attraverso la gratuità dell’alloggio e di tutti i servizi erogati. Quando un bambino sorride o un genitore ringrazia con lo sguardo, l’UGI ha già raggiunto il suo scopo. Ecco, in tempi come questi, dove tutto sembra crollare e in tanti pensano solo a sé, forse dovremmo tornare a riflettere su cosa significhi davvero accogliere. Non è questione di grandi gesti, ma di fare il proprio dovere, con dignità e senza troppa retorica. Come si fa all’UGI, ogni giorno.