UGI - Il Giornale dell'UGI - Parlare con le fiabe ai bambini

Parlare con le fiabe ai bambini

C’era una volta… e già ci viene voglia di metterci comodi per ascoltare una bella favola che ci porterà lontano, in quel mondo che non conosciamo ma che ci libera da tristezze e angosce e ci aiuta a superare momenti difficili. La fiaba per i bambini è un po’ come l’isola che non c’è, un posto magico dove succedono cose impossibili e dove i personaggi assumono una grande importanza per tutti. Ma non è solo questo, non è un gioco a cui prestare attenzione soltanto per il tempo della narrazione. I personaggi, animali, oggetti, piante ecc. diventano persone, parlano e si muovono come noi e soprattutto ragionano come noi, diventano “noi”. La fiaba diventa luogo e tempo altri, assumono un significato per ognuno di noi in modo diverso. Ecco allora che la fiaba è istruttiva.

Ha detto Chesterton (scrittore inglese della fine dell’800): “Le favole non dicono ai bambini che esistono i draghi. I bambini sanno già che esistono i draghi. Le fiabe dicono ai bambini che i draghi possono essere uccisi”. Le fiabe infatti rivelano la vita reale in uno scenario fantastico, dove spesso a trionfare sono gli eroi, ma soprattutto offrono soluzioni e rassicurazioni. I bambini hanno bisogno di scoprire in un ambiente sicuro che le cose brutte accadono a tutti. Le fiabe aiutano gli adulti a parlare con i bambini delle tematiche più complesse: separazioni, morte, abbandoni, guerre, invidie e gelosie ma anche di valori come l’amicizia, l’amore per il prossimo, la capacità di affrontare le difficoltà. Attraverso l’identificazione con i personaggi narrati, il bambino impara e comprende che nel mondo esistono le differenze e che ogni persona è un mondo diverso dall’altro. Attraverso la narrazione possiamo raccontare che sulla terra coesistono culture, modi di vivere, religioni, tradizioni una diversa dall’altra. Perché la fiaba e il modo di raccontare servono a presentare situazioni nuove e capacità di soluzioni impensate. Ma ciò che conta davvero è l’interpretazione che ogni bambino dà al racconto. Non sempre la nostra motivazione e interpretazione corrispondono con la loro!

Marta Benoffi, scrittrice torinese di fiabe per bambini, ha detto: “Il vero e straordinario propulsore per la scrittura per me è stato lo sguardo su di sé di un bambino di 4 anni, che, sentendosi raccontare a voce una mia storia, l’ha recepita nel modo più felice possibile e le ha attribuito un significato completamente nuovo rispetto a quello con cui l’avevo concepita. Così, ciò che io originariamente avevo inventato per intrattenere mio figlio infante, è diventato un progetto di respiro molto più ampio: mettere per iscritto le mie storie ha avuto lo scopo esplicito di far sorridere altri bambini galleggianti, ovvero unici, così come ha saputo fare il mio primo “lettore”. Anche lei dà valore al modo di raccontare: “Credo nelle favole fin da piccolissima, grazie al meraviglioso ricordo delle letture recitate da mio padre, che era un interprete talentuoso e mi faceva immergere in un mondo di fantasia, in altalena tra l’assurdo e la paura, tra il comico e il poetico, dove tutto era possibile e la sua protezione era sempre assicurata.” Il pathos (parola che deriva dal greco e che significa insieme di passionalità, concitazione, grandezza proprio della tragedia) con cui si “accende” una narrazione è un tassello fondamentale per riuscire a sottolineare e a riempire di significato ciò che si sta leggendo o raccontando.

Marco Benadì, torinese docente di marketing e scrittore di libri per bimbi un po’ più grandi, ha scritto un libro “Lo strano caso di Nelson Whitman” con il preciso intento di dare un aiuto concreto alle attività dell’UGI, ma al di là di questo, per lui la lettura è “un invito a stare insieme cercando di vincere silenzi e indifferenze che dominano il nostro tempo. Quindi parlare di bambini per parlare di noi, delle nostre infanzie, di quelle che abbiamo vissuto, di quelle che abbiamo scampato, forse di quelle che, leggendo il libro, vivremo e che penso possa essere di stimolo e di riflessione.” Come già diceva Gianni Rodari, grande scrittore e giornalista del ‘900, “la favola è il luogo dove può accadere tutto, e ci può dare chiavi di lettura per entrare nella realtà attraverso strade nuove e ci può aiutare a conoscere il mondo”. E questo, per Marco Benadì è un valore fondamentale: la fiaba è un modo per poter raccontare la realtà attraverso la purezza e la magia degli occhi dell’infanzia. I bambini pongono domande vere e si aspettano da noi adulti risposte altrettanto vere. “Se noi non diamo risposte che li soddisfano loro vanno a cercarle in sistemi che non sono adeguati”.

Anche per Massimiliano Gerardi, consulente del lavoro e scrittore di fiabe per bambini, “le fiabe hanno sempre qualcosa da insegnare anche agli adulti.” E, come dice Marta Benoffi, ci avvicinano al “nostro sentire bambino, che è il più autentico e che, se siamo fortunati, riusciamo ad accogliere anche con gli anni che passano”. Massimiliano Gerardi scrive fiabe “ponendo al centro il tema del lavoro affinché bambini e genitori ne capiscano l’importanza e i momenti di assenza dei loro genitori. Credo sia importante rispolverare il detto che il lavoro nobilita l’uomo”. Quindi anche da adulti “impariamo dai personaggi delle storie. Essi ci aiutano perché si collegano alla nostra vita, ai sogni, alle ansie, e mentre ci confrontiamo consideriamo cosa avremmo fatto nei loro panni”. Quindi la fiaba va intesa, oltre alla piacevolezza del momento del racconto, come un ambito in cui maturare la propria capacità di azione diretta, di progettazione, di riflessione e di studio per affrontare tutto quello che la vita propone nel bene e nel male.