Nel 1992, solo a Roma e Genova gli ospedali che accoglievano i minori oncologici in cura offrivano la possibilità di continuare gli studi in nosocomio. In Piemonte, con delibera 1064/1944 del 13 maggio 1994, la Direzione Sanitaria accolse l’indicazione dell’UGI affinché fosse garantita la possibilità ai bambini soggetti all’obbligo scolastico, temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione, così come previsto dall’art. 12 della Legge 104/1992 e inviò richiesta formale al Provveditore degli studi di Torino per istituire una sezione di scuola media presso i reparti di oncologia ed ematologia del Regina Margherita. Con Emma Sarlo Postiglione, promotrice di questa grande innovazione fu Pia Comoglio Rosatelli, socia volontaria di UGI.
Dott.ssa Comoglio Rosatelli perché lei e gli altri membri di UGI ODV vi siete attivati affinché anche la scuola media, dopo la scuola elementare, entrasse in ospedale?
Perché avevamo osservato che, all’epoca, circa 25 ragazzi in età di scuola media inferiore erano ricoverati ogni anno nei reparti di oncologia ed ematologia al Regina Margherita, con tempi superiori in taluni casi ai trenta giorni. Una volta dimessi i bambini, comunque, continuavano le terapie day hospital ed in degenza ordinaria con cicli terapeutici della durata superiore all’anno. Ancorché, genericamente promossi, i ragazzi, spesso, non raggiungevano una adeguata preparazione scolastica e le carenze accumulate permanevano negli anni successivi.
Cosa volevate evitare e garantire ai ragazzi che si sottoponevano alle cure oncologiche?
Volevamo evitare quello che molte nostre famiglie avevano già riscontrato, ovvero un impatto negativo del periodo della malattia sul futuro percorso scolastico dei guariti. UGI, da sempre, ha avuto tra i suoi obiettivi, accanto al sostegno ai malati e alle loro famiglie durante il protocollo di cura, il reinserimento nella vita successiva alla malattia. UGI voleva che fosse garantito ai ragazzi il loro diritto allo studio, perché tale diritto era ed è funzionale al successo scolastico ed all’inserimento nel mondo del lavoro una volta chiuso il capitolo delle cure, ovvero ad evitare una discriminazione dei ragazzi che già avevano avuto la sfortuna di essere colpiti da una malattia così invalidante per un lungo periodo della loro vita. La scuola, oltre che da un punto di vista psicologico, anche da un punto di vista concreto, era ed è il mezzo con cui i nostri ragazzi potevano e possono tornare, una volta guariti, alla normalità e volevamo e vogliamo che ciò accada garantendo loro le stesse opportunità dei bambini sani.
L’UGI in concreto quindi cosa fece?
Elaborò delle linee guida, da presentare al Direttore Sanitario e quindi, una volta recepite, al Provveditorato degli studi, individuate dall’esperienza delle nostre famiglie e di noi genitori, tra cui come la sottoscritta, vi erano anche docenti, affinché la scuola media entrasse in ospedale e ciò accadesse con modalità effettivamente adeguate al percorso medico affrontato dai ragazzi in nosocomio.
Cosa indicavano le linee guida?
Innanzitutto, bisognava prevedere un insegnamento individualizzato che si sarebbe realizzato adattando, di volta in volta, le metodologie didattiche alle particolari situazioni personali. Questo comportava, in primis, programmare lezioni curricolari per i lungo degenti impossibilitati a seguire il percorso scolastico presso la scuola di appartenenza. Secondariamente, prevedere per i malati a breve degenza un’attività didattica di sostegno, integrativa, di quella delineata dal consiglio di classe della scuola d’origine, da svolgere anche fuori dall’ospedale.
Da un punto di vista psicologico, le linee guida da voi stilate, cosa indicarono?
La necessità di tenere presente, in ogni momento del percorso scolastico del malato, lo stato di disagio in cui si trovava in quanto ospedalizzato, oltre ovviamente agli inevitabili vissuti emotivi ed affettivi annessi alla sua condizione, che inevitabilmente incidono sulla sua motivazione creando difficoltà nell’apprendere.
Da un punto di vista tecnico, invece, cosa suggeriste?
Un organico che permettesse un inserimento graduale, flessibile del bambino, evitando l’avvicendamento di troppe figure diverse accanto allo stesso. Chiedemmo una cattedra per le materie letterarie; sei ore per la lingua inglese e francese; sei ore per le scienze matematiche; tre ore per educazione tecnica ed artistica.
Ringraziamo Pia Comoglio Rosatelli per averci raccontato come quello che oggi parrebbe un diritto “scontato”, sia stato frutto, invece, dell’attivazione e della promozione di genitori che hanno pensato non solo ai propri figli, ma a quelli anche delle famiglie che, senza una scuola in ospedale, non avrebbero potuto supportare adeguatamente i propri: perché UGI anche in ambito scolastico, vuole essere una risposta ai bisogni di chi da solo non avrebbe le risorse per affrontare tutta una serie di questioni inevitabili ed essenziali che ruotano attorno alla vita dei ragazzi malati oncologici prima e dei guariti dopo, facendosi portatore di interessi della collettività e non solo individuali.