La professoressa Pia Massaglia, tra le figure più autorevoli della Neuropsichiatria Infantile, ha contribuito in modo decisivo alla crescita della psiconcologia italiana. I suoi studi e il suo impegno hanno formato generazioni di operatori e arricchito l’approccio alla cura dei bambini e degli adolescenti malati di tumore. In questa intervista racconta il valore della formazione dei volontari e il ruolo che possono avere nel sostenere pazienti e famiglie.
Nella sua esperienza, quali sono gli aspetti fondamentali della formazione per chi sceglie di fare volontariato, soprattutto in un contesto delicato come quello dell’oncoematologia pediatrica?
Per tutti i volontari, indipendentemente dalla loro mansione, è indispensabile una formazione preliminare, per essere introdotti da un lato alle complesse sfaccettature sia reali sia emotive del percorso di cura, calato nello specifico centro di riferimento, e dall’altro all’organizzazione dell’associazione e alle possibilità di supporto relazionale e concreto offerto alle famiglie, che affrontano la malattia oncologica di un figlio. Chi si dedica all’assistenza effettua poi un percorso di apprendimento dall’esperienza, innanzi tutto con l’affiancamento ad un volontario esperto e con la possibilità di confronto e di scambio con gli altri volontari nell’ambito di riunioni periodiche, quindi con la partecipazione ad un gruppo di riflessione sull’attività svolta, gestito da un conduttore esperto, a partire da situazioni concretamente vissute e dettagliatamente esposte, che si configura come formazione permanente.
Come contribuisce la formazione a sostenere i volontari, sia dal punto di vista emotivo che relazionale, nel loro percorso?
La conoscenza dell’organizzazione sia del centro di cura sia dell’associazione colloca il volontario su una scena molto articolata, in cui il suo contributo si inserisce nell’ambito di un lavoro di cura globale, teso alla salvaguardia della qualità di vita, svolto dai diversi operatori dell’area socio-sanitaria (medici, infermieri, psicologi, neuropsichiatri infantili, assistenti sociali) e dell’area didattico-educativa (insegnanti, educatori, animatori). Fare parte di una rete di cura limita il sentimento di solitudine del volontario e gli consente la condivisione della responsabilità, garantendogli al contempo una gamma di interlocutori rispetto al bisogno o alla difficoltà intercettati nel rapporto con gli assistiti. Il percorso di formazione permanente consente al volontario di comprendere maggiormente le proprie reazioni emotive e di modularle, in modo da sostenerle meglio e da diminuirne la possibile interferenza rispetto al rapporto con gli assistiti.
Quali qualità o competenze ritiene più importanti da coltivare in un volontario UGI?
Senz’altro sviluppare le capacità di osservazione e di ascolto consente di essere maggiormente accoglienti e di offrire il proprio aiuto in modo delicato e flessibile, in rapporto alla condizione contingente degli assistiti. E’ pure molto importante conservare, anche nei momenti più penosi, una prospettiva vitale, basata sulla consapevolezza che la propria presenza di per sé rappresenta un contributo positivo, in quanto può diminuire i sentimenti di solitudine e di isolamento dei bambini/ragazzi e/o dei genitori.
In che modo la formazione può essere considerata un “valore aggiunto” anche per i pazienti e le famiglie?
La formazione, che contribuisce ad affinare atteggiamento e modo di comunicare dei volontari, migliora la qualità della relazione offerta agli assistiti. Essi possono così sentirsi accompagnati con sensibilità e delicatezza, perché rispettati nei loro tempi e nelle loro modalità. Questa è la migliore premessa perché possano accettare, quando utile, proposte di aiuto di vario tipo, perché scaturiscono da un rapporto di conoscenza e di fiducia.
C’è un messaggio o un consiglio che vorrebbe trasmettere ai nuovi volontari UGI che si avvicinano oggi a questo mondo?
Desidero rivolgere loro un sentito ringraziamento, perché hanno scelto di avvicinarsi ad una realtà che ancora oggi, nonostante i grandi progressi terapeutici, confronta con la sofferenza e la possibilità di morte di bambini e di ragazzi e suscita un coinvolgimento emotivo profondo. Auguro anche che possano realizzare una presenza viva, gentile e attenta a favorire per gli assistiti tutti i momenti di normalità possibili, durante il percorso di cura e dopo.
