C’è un modo per amare la scienza che non passa dai libri, né dai voti. È quello che nasce dal fare, dal toccare, dal ridere. È quello vissuto insieme a bambine e bambini, in un percorso che ha trasformato la fisica in gioco, scoperta, meraviglia. Cinque tappe, come le dita di una mano che si tende verso il mondo: luce, suono, elettricità, fluidi, magnetismo. Ogni incontro, un piccolo viaggio. Ogni esperimento, una porta aperta sulla realtà. E tutto con materiali semplici, quotidiani, perché la scienza è ovunque: in cannucce e cartoncini, in un palloncino, in un righello, in uno stampo per budino.
A guidare questa avventura, nel corso del progetto “Sperimentiamo” Chiara Oppedisano, Elisa Fiorina e Valentina Sola, ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e del Dipartimento di Fisica di Torino; ma presto si sono accorte che non erano solo loro a guidare. Erano anche i bambini, con la loro curiosità che le invitavano a cambiare rotta, a improvvisare, a ridere. Come quella volta in cui, mentre elettrizzavano pezzetti di carta, una bimba ha deciso che i capelli di Valentina erano il miglior conduttore possibile. O quando Asia, dopo aver suonato con righelli di varie lunghezze, ha chiesto di cantare tutti insieme la sua canzone preferita. Elisa ha preso la chitarra, e la fisica si è fatta musica. Durante il laboratorio sui fluidi, gli occhi di Ennio brillavano mentre immergeva il braccio per testare il galleggiamento. Sua mamma un po’ meno entusiasta, dopo due magliette da cambiare. E poi Batoul, che ha voluto ripetere forse cinquanta volte l’esperimento con il generatore di Van der Graaf, finché gli stampini del budino non hanno preso il volo, respinti dalle cariche elettriche. E poi utilizzando 2 bicchieri di carta uniti da un lungo filo ben teso i bimbi hanno potuto vedere con i loro occhi – anzi sentire con le loro orecchie – come il suono si propaghi nel filo e raggiunga l’orecchio anche se l’amico all’altro capo sussurrava solo.
Il laboratorio del suono ha infatti permesso ai bambini e alle bambine di parlarsi con il “classico” telefono senza fili, e loro parlavano in almeno 3 lingue diverse, a coppie. Sono state usate immagini, video, parole semplici. Ma soprattutto è stato usato il tempo, quello lento, quello che serve per ascoltare, per osservare, per lasciarsi sorprendere. Ogni incontro durava un’ora, ogni due mesi, da ottobre a giugno. Ma il tempo vero era quello che restava negli occhi, nelle mani, nei sorrisi. Alla fine di questo percorso i bambini hanno portato a casa un ultimo piccolo esperimento: un seme. Perché la scienza, come ogni cosa viva, ha bisogno di terra buona, di cura, di stupore. Perché le ricercatrici sono certe che, in qualche angolo di quelle menti curiose, qualcosa è germogliato. E dedicando poche ore, si può avere in cambio moltissimo. E se un giorno, tra quei bambini, ci sarà chi vorrà capire il mondo con gli occhi della fisica, forse sarà anche grazie a un palloncino, a una canzone, a un budino che ha deciso di volare.