UGI - Il Giornale dell'UGI - VOLONTARI IN REPARTO

VOLONTARI IN REPARTO

Alla vigilia di Natale non si poteva scegliere posto migliore per conoscere Francesco Rasetto e Stefano Benetto, referenti volontari ospedalieri. UGIDUE ospita da qualche anno il Mercatino, il luogo adatto dove scegliere idee regalo e fare acquisti, un modo concreto per aiutare i bambini ricoverati nel reparto di Oncoematologia del Regina Margherita e le loro famiglie.

Ero ansiosa di conoscerli perché ho sempre pensato che bisogna essere persone un po’ speciali per scegliere di accogliere e assistere in reparto le famiglie e i bambini o ragazzi malati che vengono sottoposti a trapianti di midollo, interventi delicati, cure invasive e debilitanti.

Chiedo a Francesco di raccontarmi come si diventa volontario ospedaliero. Francesco ricorda i suoi esordi e non sembra possibile che oggi UGI sia quello che è diventata: “Sono più di 25 anni che faccio il volontario in UGI. All’epoca si vendevano stelle di Natale in piazza per tirare su soldi per l’Associazione. Lavoravo in banca quando un amico mi ha parlato di UGI e da quel momento non ho più smesso. Tutti i venerdì pomeriggio ho il mio appuntamento fisso al 5° piano del Regina Margherita.” Parla con grande competenza e con molta disponibilità mi spiega che sia lui che Stefano oggi sono i referenti del gruppo volontari ospedalieri e si occupano anche di formare i nuovi. Nel reparto di degenza ci sono quei bambini che devono essere monitorati dopo la chemioterapia o che stanno male perché immunodepressi. Dopo la diagnosi hanno il delicato compito di accogliere famiglie e pazienti mettendosi a loro disposizione in reparto o in Day Hospital.

Stefano mi spiega le difficoltà che ci sono nel primo periodo, quando bambini e adolescenti fanno difficoltà a interagire. “Io sono strutturato proprio per accogliere gli adolescenti che hanno un rapporto più complicato con l’esterno rispetto ai più piccoli. Talvolta sono “in guerra” con i genitori con cui sono costretti a stare anche 24 ore su 24 in un periodo della vita come l’adolescenza già complesso di per sé, che li porterebbe, se potessero, il più lontano possibile dalla famiglia. I rapporti familiari si amplificano nel bene e nel male. E poi è molto difficile distoglierli dal cellulare o dalla playstation in cui si rifugiano. Con i più piccoli il coinvolgimento è più facile e poi interagiscono tra di loro quando possono svagarsi in sala giochi, oggi molto ben attrezzata grazie alla solidarietà dei donatori. Lo spazio è concepito per favorire un momento ludico a disposizione di tutti i ricoverati che distoglie pazienti e genitori dal pensiero costante della malattia. “Giocare con loro e intrattenerli permette ai genitori di godere di una pausa. Ci sono 16 stanze e ognuna ha delle regole specifiche: se il bambino non può ricevere visite è segnalato sulla porta e noi non possiamo entrare perché bisogna preservare l’isolamento, ogni contatto può essere causa di infezioni molto pericolose

per chi ha le difese immunitarie abbassate dalle terapie. E poi ci sono i genitori o familiari: a volte si confidano, noi siamo la loro valvola di sfogo, hanno il bisogno di raccontarsi. Non facciamo mai domande, sono loro stessi a parlare. La condivisione del dolore, delle ansie, delle incertezze è importante e noi dobbiamo essere sempre disponibili all’ascolto.” Stefano mi dice che anche lui, da genitore, si comporterebbe come loro, chiederebbe aiuto e farei lo stesso anch’io. Francesco: “Come dicevo i volontari ospedalieri devono avere determinati requisiti. Per questo motivo organizziamo quattro giornate di affiancamento e come tutor cerchiamo di capire se si è più o meno adatti ad entrare in reparto. Una sorta di tirocinio degli ospedalieri.” Francesco mi dice che bisogna essere “in pace con se stessi”, non si può essere di aiuto agli altri quando si hanno problemi irrisolti o preoccupazioni che distolgono dal compito delicato richiesto in degenza. Occorre sempre essere consapevoli dell’importanza del proprio ruolo, occorre solidità emotiva e capacità di concentrazione per non farsi mai distrarre dai propri problemi, occorre pazienza. “Si comincia dal gioco. Il focus è che bisogna sempre concentrarsi su chi è nel letto. E bisogna saper accettare anche la sconfitta. Nel senso che a volte la camera è chiusa. Si bussa e si chiede permesso. In quel momento ci si deve aspettare sia l’apertura che la chiusura”. Stefano lo definisce screening room: “Se la luce è spenta, la tapparella abbassata, la televisione non è accesa, allora in genere non ci viene permesso di entrare. Diverso se la porta è aperta. L’importante è avere la pazienza di aspettare che quella porta si apra e cominci la comunicazione.” Francesco mi chiarisce che nell’accoglienza è fondamentale trasmettere che non si è soli nell’affrontare la malattia. “Ricordo ancora quando una tirocinante, al suo primo giorno in ospedale, è entrata in una delle stanze e con un piccolo paziente hanno cominciato a disegnare. Al termine della nostra visita il bimbo le ha regalato il disegno. Un modo spontaneo che i bambini hanno di comunicare, di fare amicizia”. Stefano, che lavora in Val di Susa, è dal 2018 che tutte le domeniche va al 5° piano. È stata la figlia, che oggi è medico, a parlargli del volontariato UGI e in particolare degli ospedalieri. Da quando ha cominciato non salta una domenica. “Si vede subito quando un bimbo è malato ma la malattia non li rende diversi dagli altri bambini. Poi anche i più piccoli sanno, ascoltano medici e infermieri e imparano i termini medici più complessi. Si sentono prigionieri dei tubicini cui sono attaccati giorno e notte per via delle trasfusioni, dei trapianti”. Mi dice che la cosa più gratificante è essere riconosciuti dai pazienti: “C’è Stefano, vuol dire che oggi è domenica”. “È una bellissima testimonianza del legame che si crea, ci si sente d’aiuto concreto. Cerchiamo di dare loro ciò di cui hanno effettivamente bisogno. Per questo è indispensabile la regolarità e l’impegno costante degli ospedalieri. Non serve presentarsi una volta al mese, occorre maggiore disponibilità per far sì che si crei quel legame di fiducia.” “Ricordo che una volta, durante una festa di Natale dell’UGI, il mio amico Riccardo, anche lui volontario ospedaliero, ha riconosciuto tra i partecipanti il papà di Bruno, un bimbo che ho avuto la “fortuna” di incontrare nel 2019, durante il suo primo ricovero in oncoematologia. Negli ultimi cinque anni ha subito due trapianti di midollo per cui abbiamo passato molto tempo insieme in ospedale. Ebbene vederlo alla festa ballare, allegro e in salute mi ha riempito il cuore di gioia e di speranza.” Portare gioia e speranza, questo si ripromettono Stefano e Francesco e con queste parole di buon augurio ci salutiamo. Tutti e tre emozionati.